sabato 9 novembre 2013

Deficienti Spaziali



L'EREMO DEL MASTURBATORE

Si aprì un varco a quattrocento metri di altezza dallo spazioporto di Oba7, e l’astronave di Yohv e Moccio venne sputata fuori come un nocciolo di anguria.
Il quantomeno bizzarro e opinabilissimo codice di comportamento di quelle creature, infatti, prevedeva di sbalestrare subito sulla superficie qualsiasi oggetto sconosciuto presente attorno al pianeta o nelle vicinanze.
Yohv vide l’immensa piattaforma traente, unico e malefico miracolo tecnologico compiuto dagli obasiani, e indicando parte dello scenario sottostante disse:
"Tutti quei velivoli disseminati sulle piste probabilmente sono relitti; c’erano anche l’ultima volta che siamo venuti."
"E il nostro si aggiungerà presto alla collezione." aggiunse Moccio con immancabile e celere ottimismo.
"…E ci verranno mozzate le braccia e le gambe."
"Ottima prospettiva!" commentò Yohv.
Dabbasso i segnali luminosi divennero sempre più intensi, invitandoli ad atterrare. Yohv, quindi, accese i fari di risposta e disse: "Non abbiamo altra scelta, mi pare."
"C’è il suicido." rispose Moccio.
Vozzak, intanto, colava indifferente dalle pareti. L’unica articolazione rimasta integra era una parte del ginocchio, appoggiata sui comandi. Yohv la gettò alle sue spalle e premette alcuni tasti.
"Si scende, amico!… Comunque si mettano le cose. E lascia da parte ogni forma di bontà e altruismo! Recita la parte del mostro, sprezzante e cinico, come piace a quella gente.  Paralizza le tue emozioni, se puoi. Se siamo riusciti a fuggire la prima volta, forse, riusciremo anche questa."
Moccio calciò via dalla consolle un occhio di Vozzak, colpendolo con due dei suoi anulari.
"Forse, dici?!!"
"Ecco uno dei tanti che hanno creduto alle sue promesse..." pensò poi.
Qualche minuto dopo l’atterraggio vennero caricati a bordo di una navetta scomoda e puzzolente, munita di banalissime ruote e piena di quelli che potevano essere considerati dei militari soltanto per il possesso di armi e rozze uniformi. Yohv e Moccio, infatti, constatarono subito la loro totale assenza di disciplina; alcuni, poi, tenevano pure le armi al contrario, impugnandole dalla canna.
"Sembrano dei fucili come quelli che abbiamo visto su alcune terre alternate…" attaccò Yohv per rompere il ghiaccio. "Fanno davvero schifo." proseguì.
I soldati guardarono le loro armi e si misero a sputacchiare compiaciuti.
"Hai ragione, sono una merda ‘sti robi." disse uno di loro, tutto pieno di pustole.
Moccio gli diede una rapida occhiata e poi si voltò a fissare il desolato paesaggio che sfrecciava dai finestrini.
"Non ricordavo che foste così brutti e zozzi." proseguì Yohv, in linea con l’etica locale e le abitudini dei soldati, che il codice militare di Oba7 prevedeva sempre di trattare con scarso rispetto.
Era fra l’altro verissimo, in ogni caso, che gli obasiani fossero inguardabili e somiglianti a gigantesche galline spennate, senza becco e con la pelle rossa e viscida come il pene di un cane.
"Guarda che bella colonia di parassiti mi è cresciuta qua sotto." parlò di nuovo quello pieno di vesciche, calandosi poi le braghe. "…Mica tutti riescono a resistere al dolore tanto a lungo da permettergli di svilupparsi in questo modo."
Aveva la parte superiore della coscia destra e tutto l’apparato genitale coperti da una porcheria pulsante, simile a marmellata.
"Sei in gamba!" commentò Yohv. "Io, di certo, non ci riuscirei. Mi verrebbe da grattarla via."
"Penso che invece ne hai la stoffa, potresti farcela. E’ quel ciccione del tuo amico che proprio non mi fila…: Continua a guardare là fuori, sudare, senza dire una parola."
Il soldato lo colpì leggermente allo stomaco con il calcio del fucile.
"Cosa c’è, merdoso, hai visto qualcosa che non ti piace?" chiese.
Moccio ritrasse parzialmente le antenne e cercò di mostrarsi più sorpreso che spaventato.
"No, anzi, sono contento di essere tornato da queste parti; però mi aspettavo di trovare più caos e violenza per le strade." rispose.
Il conducente della navetta, sentendolo dire questo, inchiodò a pochi metri da un gruppo di rivoltosi. Erano all’incirca una trentina d’individui che se le davano a zampe nude, tutti coperti di sangue ed ecchimosi.
"Guarda quelli!" disse. "Cosa credi stiano facendo?!!…E, più avanti, vedrai che roba; altroché!… Questa zona è in gran parte disabitata a causa di un’epidemia. E' per questo che vedi poca violenza, imbecille!"
"Sì, beh..., insomma,…, sono pochi, ma ci sanno fare. Mi dispiace che l’epidemia non consenta loro di massacrarsi in maggior numero." intervenne Yohv, per placare il disappunto del conducente.
Quello annuì e rimise in moto la navetta.
Gli obasiani, infatti, potevano tollerare e apprezzare insulti ma non critiche ai loro modelli di comportamento; per quanto potessero apparire assurdi, orribili e ingiustificati. Per uno straniero, quindi, anche solo mostrare sconcerto di fronte a certi fatti poteva costare caro. Era una regola che Yohv e Moccio non avevano certo dimenticato, ma che richiedeva una costante e difficoltosa imitazione della loro condotta. 

La stanza del Comando, spaziosa, lucida e ottagonale, tutto sommato, aveva un bell’aspetto. Sembrava un ambiente abbastanza pulito; a parte il water gigante in cui stava immerso il capitano assieme ad altri due “ufficiali”. Attorno c’erano vari oggetti sistemati con cura all’interno di piccoli campi di forza o dentro delle teche in similvetro. Yohv e Moccio riconobbero alcune cose provenienti dalle Terre alternate e altri pianeti su cui avevano fatto visita.
C’erano un asciugacapelli, una bicicletta da clown, la testa di un tirannosauro, delle chele bioniche, una tuta da Erzanguriano, dei giocattoli vegani e tante altre cosucce di quest’ordine a livello d’importanza rappresentativa dei luoghi d’origine. Soltanto il cesso, piantato in mezzo a tutto ciò, creava una certa disarmonia.
"Quello è un documento nazista?" chiese Yohv, indicando un testo bollato con la svastica e appoggiato sopra una cornice.
"Quello è l’attestato originale del premio nobel per la pace conferito a Hitler in TerraK352. Possiedo anche la dichiarazione del diritto al fratricidio dei Daxorg e cinquanta versioni apocrife della bibbia di Ogo."
"Un patrimonio invidiabile." commentò Yohv.
"Voi, quindi, avete visitato alcune di queste Terre?" chiese compiaciuto il capitano.
"Proprio queste no. Diverse, comunque, e tutte accomunate dal fatto che gli umani, irrimediabilmente e a un certo punto della loro evoluzione, regredivano e si autodistruggevano. Abbiamo fatto dei tour temporali anche su quel mondo, abbastanza famoso, in cui una donna viene eletta Pontefice."
"Sì, sappiamo. Menomale che è stato distrutto da un frammento di antimateria." disse il capitano.
"La discriminazione a tutti i livelli, possibilmente, è auspicabile." s’intromise Moccio, ripetendo meccanicamente qualcosa che ricordava di aver sentito nella loro precedente esperienza su Oba7.
"Verissimo!" esultò il capitano "Anche se uscito da quella tua fogna di bocca verdastra."
Yohv, per restare in tema di cose fetide, tornò a fissare la sua attenzione sul cesso gigante.
Era ossidato, sporco e traboccante del liquame in cui stavano immerse le tre creature.
"Questo è un cacatoio dei titani di Deguanbam." disse il capitano, quasi incapace d’intuire il disgusto che quell’oggetto poteva suscitare in loro; Yohv e Moccio, tuttavia, si finsero interessati. 
"Pare abbia almeno trentamila anni. Ce lo hanno venduto a un’ asta, ancora completo di escrementi fossili."
"Ottimo affare." commentò Yohv.
"Accomodatevi!" disse il capitano.
Attorno, tuttavia, non c’erano oggetti su cui sedersi; per cui si sistemarono a terra, circondati dai soldati che, invece, rimasero in piedi.
"…Lì, le popolazioni primitive avevano un grosso culo, ed è per questo che noi oggi utilizziamo il loro cesso come vasca da relax." proseguì il capitano.
"Dev’essere comoda." disse Moccio.
Le tre creature si crogiolavano in quel liquido cercando di suscitare invidia.
"Tuttavia,…" proseguì il capitano, "Per apprezzare davvero un reperto del genere bisogna considerarlo anche nella sua funzione originaria."
"Vedo!" commentò Yohv.
Alcune salsicce verde scuro galleggiavano attorno al capitano.
"Non trovate?"
"Certo certo!" rispose Yohv.
Uno dei due ufficiali si levò uno stronzo rimasto appiccicato al collo e tornò a rilassarsi in quella melma, scegliendo un punto meno inquinato.
"Quanti porvchec mi offriresti per questa vasca, razza di abominio?" chiese il capitano rivolgendosi a Moccio.
"Non ho la competenza per valutare un oggetto così prezioso. Posso solo dire che mi piace molto, sembra confortevole."
Atre due salsicce emersero dopo lo sforzo del capitano di comprendere la risposta.
"Lo sai, abominio,…" proseguì quest’ultimo, "Riguardo a quella cosa che hai detto prima sulla discriminazione… Su questo pianeta siamo tutti magri, comprese le creature più orribili, come i caboceloni artigliati, ad esempio; vuoi per la genetica o per la carestia generalmente diffusa a tutte le specie, vuoi per altri motivi che c’infischiamo di approfondire, noi però restiamo sempre fortemente convinti che sia giusto discriminare le differenze… Se Ogo apprezzasse anche il tuo tipo di deformazione fisica, del resto, crediamo che l’avrebbe resa comune anche in questi luoghi."
Yohv diede uno schiaffo a Moccio e lui s’inchinò fingendosi costernato per la sua obesità.
"Rendo grazia a Ogo!" disse, massaggiandosi la parte colpita. "E mi vergogno di quello che sono."
"Ma credi veramente in Lui?!" chiese il capitano. "O mi stai prendendo per il retto?"
"Provo spesso gli effetti della Sua disapprovazione, e sono molto potenti e fastidiosi, per cui non posso dubitare di Ogo." rispose Moccio.
"Bene! Almeno hai coscienza della tua inferiorità." lo rassicurò il capitano.
"…Quindi, in via del tutto eccezionale e soltanto per premiare la tua umiltà, ti consentirò di provare il benessere di cui godiamo nel water Deguambam; visto che oltre alla fede hai dimostrato di avere occhio per le cose rare e preziose. In effetti, vedrai, è molto confortevole."
Moccio rimase immobile, mentre i due ufficiali uscirono dalla vasca per lasciargli spazio. Avevano anche loro addosso delle colonie di marmellata mica da ridere.
Yohv, vedendo che Moccio appariva titubante di fronte a questo onore, gli diede uno bello spintone per indirizzandolo verso la vasca. "Vaaai!!" disse.
"Non ti preoccupare, abominio!…" proseguì il capitano. "Qui ogni forma di sessualità è bandita. Inoltre ti concedo di approfittarne anche per i tuoi bisogni, dato che non esistono altri cessi su Oba 7"
"Perché?!!..." si chiese Moccio, pensando alla sua recente esperienza su Ficatron, "Anche qui sono costretto ad immergermi in una vasca."
Sebbene in quella occasione l’acqua fosse molto più pulita.
Comunque, si spogliò ed entrò.
Attigua alla stanza del Comando, la Centrale inviava segnali acustici di vario genere provenienti da tutto il pianeta. Una cacofonia che, a un certo punto, attirò l’attenzione de capitano.
"Dovete ancora dirmi cosa ci siete venuti a fare, qui." disse.
Moccio vomitò nelle tiepide acque del cesso deguambam, disgustato da tutti gli escrementi che gli galleggiavano attorno.
"Siamo venuti a ricevere l’ordinazione di quei materiali…" s’inventò Yohv.
"Quali materiali?!!"
"Quelli che avete richiesto anche l’altra volta."
"Volete dirmi che siete già stati qui?" chiese il capitano. "Non ricordo le vostre impressionanti facce da idioti, e mi sembra un po’ improbabile che non si sia deciso di eliminarvi in quella occasione."
"Eppure ci siamo già incontrati." rispose Yohv.
Un soldato entrò svelto nella stanza e si avvicinò al bordo della vasca per consegnare dei fogli al capitano.
"Vi avevamo portato un bel carico di cubetti di Zerspek, ricevendo tutti gli onori e un visto permanente di tolleranza allo sbarco mercantile." proseguì Yohv.
"Okay, okay!… Ora stai zitto e fammi leggere il rapporto." disse Gainsbergiolg; questo era il nome del capitano.
"Qui leggo che avete l’interno della vostro “catino intergalattico” tappezzato dai resti di qualcuno, il cui dna appartiene a una razza molto comune su Patton 6700. Non che la cosa m’importi veramente, ma potete confermarmi questi dati?" chiese.
"Sì." rispose Yohv. "Ci pareva scialbetto l’abitacolo e,  per dargli un po’ di colore, abbiamo fatto esplodere un passeggero."
Gainsbergiolg rise. "Magari, anche qui ci vorrebbe un tocco artistico di questo genere; non trovi, furbetto? Voi come ce lo avete il sangue?"
"N…Noi?!!…" chiese Moccio, riemergendo dalla sua chiazza di vomito.
"Sì, m’interessa soprattutto il tuo." disse Gainsbergiolg "…E’ verde come la tua schifosa pelle?"
"No, è molto più scuro, quasi orribilmente nero." rispose Moccio.
"Il nero non mi dispiace." commentò Gainsbergiolg.
"Però, capitano, se mi è consentito dire ancora qualcosa riguardo alla diversità…" Moccio si fece coraggio, credendo di aver concepito una brillante riflessione. "...Ogo non ha creato esseri obesi soltanto su questo pianeta, e ciò starebbe forse a indicare che comunque sono amorevolmente contemplati dalla sua immaginazione."
"Cazzata! Ma che vai dicendo, abominazione?! Ogo non è il creatore dell’intero universo.Lui ha creato esclusivamente Oba e le altre sei colonie."
"E di quello che hanno fatto gli altri dei non v’importa, signore?!!" chiese ancora Moccio.
"Proprio nulla!" rispose Gainsbergiolg. "Ditemi, piuttosto, cosa ci siete andati a fare su Patton. Voglio un quadro completo della vostra situazione!"
                                      
                                                                    
Raccontarono quasi tutto, tranne il vero motivo per cui dovevano far ritorno a Ficatron assieme al Vozzak originale; questo per rispettare l’ avversione alla sessualità che quelle creature nutrivano.
"Quindi voi siete degli psicologi?" chiese Gainsbergiolg, alla fine.
"No. Non noi,…Lo è Bufenzo, del pianeta Zauban sesto. Vuole che andiamo a cercarglielo, signore? Così può interrogare pure lui." chiese Yohv.
"No no, furbetto! Voi non vi muovete da qui!" rispose il capitano, uscendo dal cesso gigante. "Mica sono così scemo da lasciarvi scappare! Metterete, piuttosto, in pratica ciò che avete appreso da questo Saiball… Sambanne… Sam… O come cazzo si chiama."
"Zauban, signore!" intervenne Moccio, che stava uscendo dalla vasca.
"Bene! Zauban." disse Gainsbergiolg, e si grattò via dal mento un pezzo di qualcosa che è meglio non descrivere.
Sembrava nervoso.
"Vedete,…" proseguì, "Qualche tempo fa, il mio unico figlio, Gingiolcek, è fuggito in mezzo alle montagne Ru, le più alte e pericolose di questo pianeta."
"E’ fuggito?" lo interruppe Yohv.
"Sì, ha avuto una specie di crisi, dovuta a sciocche faccende personali di cui è stato pesantemente oggetto di cherno…" rispose Gainsbergiolg.
"Che tipo di faccende? Se mi è consentito chiedere." insistette Yohv.
"E’ una storia un po’ lunga." cominciò Gainsbergiolg, "…Ma, tanto per facilitarvi nella vostro nuovo incarico, sarà utile esporla; almeno per sommi capi."
Due guardie arrivarono e lo rivestirono veloci veloci con una specie di accappatoio, poi spruzzarono del gas sulle flaccide membra di Moccio, usando delle pompette che tenevano attaccate alla cintola.
"E’ per deodorarti e asciugarti in fretta, abominazione! Non preoccuparti!" disse il capitano, poi prese a raccontare del figlio. La lunga sobolettosonda incollata al pube di Moccio non lo aveva per niente incuriosito.
"…Lui stava a una festa, in compagnia di tre suoi presunti amici… Questo è avvenuto all’incirca trenta lune fa… E bevevano; bevevano parecchio, credo. Almeno a giudicare dallo stato in cui è tornato a casa." disse Gainsbergiolg.
Moccio si era effettivamente asciugato e non puzzava, pur rimanendo in parte coperto di escrementi essiccati.
"…Era proprio uno schifo, sapete?!…" proseguì Gainsbergiolg. "Non riusciva nemmeno a reagire agl’insulti e gli schiaffi di sua madre, e gli amici dovettero trascinarlo fino alla camera."
Moccio tentò di grattarsi via alcune di quelle croste.
"…Poi gli mettemmo una borsa dell’acqua calda sullo stomaco, aggeggio molto utile trovato durante uno dei nostri tour temporali, e finalmente qualche minuto dopo riuscì ad addormentarsi, inzuppato del suo piscio e vomito. Fino a qui, naturalmente, nulla di strano; a molti ragazzi capita di prendersi una sbornia. Il peggio, veramente, è cominciato il giorno dopo, Ogo bastardo!... Quando i ragazzi che lo hanno accompagnato si sono messi in testa di ricostruire tutta la scena con un cristallo olo musicale…"
"Un cristallo olo che?" chiese Yohv?
"Sì. Gli hanno fatto il verso, insomma." rispose Gainsbergiolg. "Imitando la mia voce e quella di mia moglie mentre lo sgridavamo usando il nostro dialetto, il Fanzagurtulliano, che effettivamente può apparire un po’ ridicolo e quasi cantato, in queste regioni di bifolchi; tuttavia è quello che preferiamo usare quando siamo in famiglia… E lo hanno saputo fare con un talento diabolico, aggiungendo pure i rumori degli schiaffi e i lamenti di mio figlio; poi hanno completato l’opera con una musichina di sottofondo, altrettanto ridicola, e riprodotto il tutto in un buon numero di olo copie. Tanto per diffonderlo il più possibile fra i giovani della zona, capite?"
Moccio annuì, fingendo rammarico.
"…L’ho sentito cantare davanti alle scuole, nei bar, nelle biblioteche, nei centri di macellazione pubblica." proseguì Gainsbergiolg.
Moccio s’immaginò di trovare le sue membra sparpagliate in uno di quei centri, mentre allegri macellai facevano il verso al figlio di Gainsbergiolg.
 "…Tanto che ora," proseguì quest’ultimo. "visto il successo di ascolti ottenuto da queste parti, un’ importante casa cristoololodiscografica l’ha riprodotto a sue spese, e questi stronzi sono diventati ricchissimi."
"Divideranno certamente il loro successo con suo figlio, immagino; dato che è interamente dovuto alla sua disavventura alcolica." commentò Yohv.
"Ma un cazzo!...: Oltre alla beffa, ‘sti stronzi, non hanno voluto riconoscergli neppure questo tributo; anzi, hanno già intrapreso azioni legali per assicurarsi tutti i diritti dell'olo cd." rispose Gainsbergiolg.
"Voi siete un militare di alto grado. Possibile che?…" s’intromise Moccio.
"Quello che posso o non posso fare, non ti riguarda! ABOMINAZIONE!!" gridò Gainbergiolg. "Voi, ora, verrete equipaggiati per andare sulle montagne Ru a cercare mio figlio, poi ci occuperemo di organizzare un piano per far fuori i suoi amici. Okay?"
Moccio lasciò che fosse Yohv a rispondere, valutando sempre più plausibile quella fantasia sui centri di macellazione.
"Faremo del nostro meglio." rispose Yohv. "Quando si parte?"
Pensava che, essere lasciati liberi di agire in uno spazio privo di sorveglianza, avrebbe dato loro un certo vantaggio.

Tuttavia, le montagne Ru erano alte e pericolose, forse troppo e in maniera innaturale; tanto che un geologo locale, qualche luna addietro, era morto di ictus nel tentativo di razionalizzare questa anomalia. In particolare, la vetta in cui si presumeva fosse nascosto Gingiolcek, era tanto alta che risultava impossibile vederla anche a un cidelchilometro di distanza dalle pendici. A questa sconfortante realtà si aggiungeva anche la mera, ma ferma convinzione di Gainsbergiolg, che il ragazzo stesse proprio lì, in una piccolo caverna di ghiaccio di cui parlavano certe leggende.
"Io sono la vostra guida, chiedetemi pure tutto quello che volete." disse il cabercetto lilla di Noragon, una piccola creatura ricoperta di scaglie rosate.
Yohv portava sulle spalle pure le sue provviste.
"Sì, me lo dici perché il tuo zaino è così grosso e pesante e, soprattutto, lo devo portare assieme al mio che già pesa parecchio?" chiese.
"Gainsbergiolg mi ha detto di non fare sforzi, mantenere sempre una posizione privilegiata, riferirgli tutto quello che fate e che accade, e portare assolutamente a termine la missione. Pena: la macellazione."
"Pubblica?" chiese Moccio.
"No, privata. Anche Gainsbergiol possiede un bel mattatoio vicino alla taverna di casa sua!" rispose il cabercetto.
"Come puoi riferirgli le nostre azioni? Sei nudo, piccoletto, e neppure tanto bello da vedere, sai?" chiese Yohv.
"I miei timpani sono delle specie di ricetrasmittenti; smetto di udire e voi siete morti."
"In che modo, scusa?" chiese ancora Yohv.
"Al Comando qualcuno preme un bottone e centinaia delle mie scaglie velenifere vi si conficcano nelle carni per effetto dell’esplosione. Un prodigio che, in misura minore, posso compiere anche da solo; poiché sono perfettamente in grado di sparare le mie scaglie.
Tuttavia, Gainsbergiolg, per assicurarsi che questo accada nel migliore dei modi, ha preferito farmi impiantare una bomba nel petto… E’ d’obbligo, quindi, che mi stiate sempre vicini e senza toccarmi, naturalmente, per rendere la minaccia sempre efficace. Magari vi venisse l’idea di allontanarvi correndo, quindi, urlerò. E le mie scaglie saranno comunque dure e veloci come proiettili."
"Eh! eh!…. che carino! Questa nostra follia potrebbe costarti la vita, però." disse Yohv.
"Guarda!…: in fin dei conti non è che sia poi così felice di vivere, soprattutto quando mi vengono assegnate questo genere di missioni." rispose il cabercetto. 
Moccio e Yohv si misero a ridere, forse con il sentore di poterlo fare ancora per poco, poi cominciarono la loro dura e assurda scalata.
Si avvidero subito ,infatti, di come in alcuni punti la vegetazione fosse troppo intricata e il percorso ripido; tanto da costringerli a zigzagare confusamente in cerca di zone meno impervie. Ogni cosa, per di più, aveva un aspetto ostile; a partire dagli strani movimenti del fogliame, eccessivamente colorato e viscoso.
"Se ci sono dei pericoli nelle immediate vicinanze puoi avvisarci con cortese anticipo?" chiese Moccio. "Visto che non sappiamo nulla di questo luogo."
"Certamente! Il mio scopo non è ridurvi a dei cadaveri anzitempo." rispose il cabercetto.
"Quella linfa lì, ad esempio…" proseguì Moccio. "La vedo colare un po’ dappertutto e, a volte, mi sembra di camminare sulla gelatina. E’ tossica?"
"Mortale, direi." rispose il cabercetto. "Ma non è necessario che la ingeriate. Evitate pure di farvela gocciolare addosso e di toccarla, e siete a posto."
Moccio guardò sbigottito Yohv.
"“Siamo a posto”! Ma l’hai sentito?!!… Forse è il caso di fermarci un attimo a fare una lista dei pericoli che ci circondano, onde evitare di commettere qualche passo falso." gridò.
"Datti una calmata, trippone!" disse il cabercetto. "Oltre alla linfa, qui ci sono tanti di quei pericoli che neanche un volume alto come la bibbia di Ogo potrebbe contenerli tutti. Quindi evitiamo ridicole scene di panico e di perderci in chiacchiere. Nel mio zaino ci sono degli antidoti a determinati tipi di avvelenamento e un gran numero di armi. All’occorrenza vedremo come usarli. Ora, se puoi, stai zitto e muoviti!"
 In alto s’intravedeva una specie di pianoro, circondato da enormi massi.
"Quando arriveremo lassù…" proseguì il cabercetto. "ci concederemo una pausa. Intanto pensate alle domande, se ne avete altre di più intelligenti da fare."
A fatica, raggiunsero il pianoro e senza dire una parola.
Il cabercetto e il suo collegamento auditivo al Comando non invitavano certo al dialogo. Attorno, c’erano poi tante cose da tenere d’occhio; cose che a volte si fiondavano spaventate nei cespugli, al loro passaggio, e altre che invece sembravano seguirli. Le ultime erano veloci e abili a nascondersi pur non riuscendo del tutto a rendere impercettibile la loro presenza.
"Passami il Catturatore GBX700!…" ordinò a un certo punto il cabercetto. Niente lo preoccupava; eseguiva passo per passo le sue consegne.
"…E’ quell’affare rosso nello zaino."
Yohv appoggiò con piacere il suo doppio carico a terra e si mise a cercare.
In mezzo ad alcuni aggeggini e porcherie alimentari di vario tipo, in effetti, qualcosa di rosso c’era. Lo prese e lo consegnò al cabercetto.
"Proprio questo. Bravo!… Speriamo funzioni, ‘sta volta!"
"Scusa, è tecnologia Oba?" chiese preoccupato Moccio.
"Sì, sì. Qualche volta ha fatto il suo dovere, però. Ora fatemelo azionare e vediamo!"
"No, scusa…" insistette Moccio, sventolando le mani sulla testa del cabercetto. "Io credo di sapere a cosa serva e sono un po’ preoccupato. Per caso, teletrasporta esseri viventi nel raggio di sei cidelchilometri quell’affare?"
"Precisamente!… Ma è tarato sul dna di Gingiolcek, quindi non corriamo il rischio di avvicinare caboceloni artigliati o altre creature nascoste nei dintorni." rispose il cabercetto.
A Yohv si rizzarono tutti i tentacoli. 
"Vuoi dire che qua ci sono dei caboceloni?!!"
"Sì, qualcuno. Hanno invalidato cinque missioni esplorative sulle montagne, ma i soldati sono stupidi; si sa. Non sono riusciti ad aggirarli." tagliò corto il cabercetto.
Yohv si guardò attorno; già gli pareva di sentire dei grugniti, passi di creature enormi nel fitto sottobosco.
"Ma devi proprio usarlo adesso? Non siamo ancora vicini alla vetta." insistette Moccio.
"Magari si è fermato prima, il ragazzo." disse il cabercetto. "Comunque, cari miei, ho una lista di ordini da eseguire mano a mano che procediamo, e se questi non dovessero proprio andarvi a genio ne discuterete in seguito col capitano."
"Se riusciamo a rivederelo!" disse Moccio.
All’estremità delle antenne, i suoi piccoli occhi ausiliari gli guardavano le spalle.
Il cabercetto azionò il dispositivo.
Clik! Ptzzzziim ziim!!!….
Poi silenzio.
Finché qualcosa si produsse a pochi passi da loro, come una distorsione di quelle che si percepiscono quando il calore sale da terra, ma più spiccata e ricca di una lieve turbolenza violacea, e un giovane, poco alla volta, prese consistenza davanti ai loro occhi.
Era accasciato al suolo e dolorante.
"Un umano!?" commentò Yohv.
"Quello non è il figlio del capitano." disse subito il cabercetto, seccato.
"Beh, poteva andarci peggio!" sbuffò Moccio, asciugandosi la fronte.
Il ragazzo si rotolò un paio di volte, per poi fermarsi su un fianco. Della bava scura gli colava sul mento.
"Alzati!" gli ordinò il cabercetto. "Alzati!!" Ma quello pareva proprio non capire; così, gli altri si avvicinarono e lo afferrarono per le braccia.
"Okay! Okay, cazzo!…" sbraitò quest’ultimo. "Faccio da mè." disse, e si alzò.
Barcollava, ancora intento a sgomitare per liberarsi dalla morsa dei due, benché si fossero già  prudentemente allontanati.
Spettinato e con la barba di una decina di giorni, ma sfatta solo in alcuni punti, Bredford (questo era il suo nome), era infilato in dei ridicoli calzoncini a righe giallo arancioni e una rozza camicia a maniche corte, mezza sbottonata e macchiata di vino.
"Chi sei?" chiese Moccio, osservando con curiosità il pearcing che il ragazzo aveva in mezzo agli occhi.
Bredford cercò di metterlo a fuoco. "Eeheee’?!!…Ma c.cosa?!…Caz…" Tossì violentemente un paio di volte e si tuffò a braccia aperte vicino a una specie di albero.
Il cabercetto lo fissò per qualche secondo in assoluto silenzio.
"E’ pazzo, malato o scemo?" chiese.
"Io, io…" borbottò Bredford alzando piano piano la faccia dal terriccio. "Dovete…Bleeeeaaaah!!!"
Roba più densa gli colò sul mento.
"Proseguiamo!" ordinò il cabercetto. Non era certo sua intenzione soccorerlo. "Chissà cosa ci fa una creatura del genere da queste parti." pensò.
"E’, davvero, soltanto di sei sildelchilometri il raggio di azione di quel catturatore? E cosa può aver a che fare tutto questo col dna di Gingiolcek?" chiese Yohv.
Il cabercetto realizzò l’importanza di questi interrogativi, più saggi del volersi mettere subito in cammino, e ne rimase un po’ irritato; irritato soprattutto dal fatto di non averci pensato per primo.
Zampettò, quindi, veloce veloce verso il giovane.
"Sei venuto in contatto con qualcosa di rosso e viscido chiamato Gingiolcek?" chiese.
Bredford sputò via un po’ di terriccio e si passò la mano sul mento.
Ora sedeva vicino a delle piante fosforescenti di cui non riusciva a comprenderne la realtà.
"Heeei…Ma come sto messo?!!" biascicò.
"Ti ho fatto una domanda precisa!" squittì il cabercetto. Poi ordinò a Yohv di passargli la olofoto di Gingiolcek.
"Eccolo!…" la prese e gliela mise davanti agli occhi.
Bredford la guardò, inebetito, e guardò anche le dita e l’intera fisionomia dell’essere che la reggeva.
"Sono finito sul set di un film?" pensò. "Però di una produzione coi controcazzi a giudicare dalla qualità degli effetti speciali."
"Tipo,…" disse. "ma è strana una cifra questa situazione!…Dooove sono?…Me lo puoi dire?! Hollywood, forse?" chiese.
Il cabercetto sbattè un paio di volte le palpebre e si girò dall’altra parte, dove lo attendevano gli sguardi altrettanto perplessi di Yohv e Moccio.
"Ovviamente non conosce l’universese." disse Yohv. "Però è un alcolizzato, esattamente come il figlio del capitano e, anche se non riusciamo a comprenderlo, potrebbe comunque esserci utile a ripercorrere certi passi o comportamenti tipici."
"Sì…" lo interruppe il cabercetto. "Non è una cattiva supposizione. L'idiozia di certe dinamiche è comune in tutti gli l'universi."
"Ma quanto è simile la psicologia di un uomo a quella di un obasiano?!" intervenne Moccio. "Io credo che farà tutto il contrario di Gingiolcek e che ci metterà pericolosamente fuori strada." commentò.
Yohv fece segno al ragazzo di seguirli.
"Io, invece, ho fiducia in lui!" disse.
"Appena da segni di riprendersi, almeno, gli caccio uno zaino." pensò. Non voleva realmente sfruttarlo come idiota da caccia.
Bredford, un po’ strisciando e gattonando, riuscì gradualmente a rimettersi in piedi e a raggiungerli.
"Me lo dite, allora, dove siamo?!!…E del latte… Ce lo avete un po’ di latte?" Contava di usarlo come antiemetico e rimedio all’intossicazione alcolica, come gli aveva insegnato la sua lunga esperienza, ma quelli continuavano a camminare.
"Sapete cos’è il latteeeee?!!" gridò, rincorrendoli come può fare un primate azzoppato.
Yohv puntò il dito verso l’alto.
"Il latte, cazzo!" insistette Bredford.
Anche Moccio e il cabercetto gli si rivolsero indicando la vetta.
"Secondo me, può diventare anche pericoloso." disse Moccio.
Yohv si tolse uno zaino e glielo appoggiò davanti ai piedi.
"Mettilo, da bravo!" disse. "Devi infilarci le braccia…così!…Vedì?"
Bredford si chinò subito, ma non per indossarlo; credeva contenesse la sua bevanda salvifica.
"Non ti azzardare a metterci dentro quelle manacce!" strillò il cabercetto.
"Contiene roba che neanche i migliori scrittori di fantascienza del tuo miserabile mondo possono immaginare. Roba dal potenziale altamente distruttivo."
A Bredford, tuttavia, sembrava un comunissimo zaino e con inopportuna impazienza tentò lo stesso di aprilo.
Cinque scaglie sparate dalle mani del cabercetto lo colpirono all’arcata sopraccigliare destra, conficcandosi bene bene sotto qualche strato di pelle; un colpo così violento da farlo volare all’indietro.
"Ora me lo dici chi ti ha autorizzato a dare lo zaino a quel bifolco?" disse il cabercetto.
Yohv spalancò le braccia.
"Pensavo di renderlo utile, alleggerirmi il carico." rispose.
Bredford si mosse.
"Guardate!… Mica è istantaneo l’effetto del veleno." commentò Moccio.
Il ragazzo si rialzò, tastandosi con calma la fronte. Non sanguinava e le scaglie gli formavano un piccolo ed elegante ventaglio scarlatto sopra l’occhio.
"Come mai non muore?" chiese il cabercetto.
"Se non lo sai tu!" disse Yohv. "Forse gli umani sono immuni al tuo veleno."
"Volete provare anche voi?" chiese il cabercetto.
"Meglio non rischiare." rispose Moccio "Almeno fino a quando saremo certi di non poter portare a termine la missione."
Intanto Bredford si specchiò dentro le foglie giganti e traslucide di una pianta, apprezzando il suo nuovo look.
Pensava fosse una specie di regalo fattogli dagli alieni, dal momento che la cosa gli aveva pure tolto all’istante i postumi della sbronza.
"Vogliamo proseguire, adesso, o dobbiamo stare tutto il tempo a guardare ‘sto cretino?" chiese il cabercetto.
"Okay! Vi seguo." disse Bredford, energico, riavvicinandosi al gruppo e acciuffando con rapidità lo zaino; questa volta solo per caricarselo sulle spalle.
"Vedi?!…" disse Yohv soddisfatto, rivolgendosi al cabercetto.
"Forse, comincia a capire."
Bredford, in realtà, non aveva capito proprio niente del loro linguaggio e di quella situazione. Credeva, si, nell’esistenza di altre forme di vita nell’universo, ma non che si potessero incontrare in quel modo. Gli esseri che gli stavano attorno, poi, pur avendo dei tratti decisamente anomali, erano troppo simili agli alieni dei fumetti. Avevano tentacoli, antenne, pelle verdastra e, allo stesso tempo, somiglianza con gli umani. In sostanza, parevano proprio degli attori truccati alla perfezione. Tranne il cabercetto. Quello sì che aveva qualcosa di veramente speciale e inquietante, pensò.
Sulle prime, infatti, gli aveva dato l’impressione di essere una piccola scimmia, anch’essa truccata per sembrare qualcosa di mostruoso, poi l’aveva guardata con più attenzione scoprendo dei particolari che rendevano assai difficile accostarla a qualsiasi cosa di terrestre.
Qualsiasi scimmia, infatti, mai avrebbe potuto muoversi allo stesso modo, e non esistevano uomini di quella taglia; uomini con la testa uguale a un ananas e il palato blu, circondato da dentini fittissimi e sottili come aghi.
"Io, un paio di volte, fra le tante minchiate in cui mi hanno coinvolto gli amici, sono pure stato a delle conferenze sugli ufo e i cerchi nel grano…" disse Bredford.
Voleva ritentare la carta del dialogo, sperando che prima o poi la finissero con quella sorprendente messa in scena.
"Ho visto delle diapositive, dei fimati… Anche di extraterrestri,…" proseguì.
"ma questo…" indicò il cabercetto. "Questo è il miglior trucco che abbia mai visto!"
Yohv e Moccio annuirono per farlo contento.
"Se mi punta il dito ancora una volta, gli sparo una raffica di scaglie. Questa volta proprio negli occhi." disse il cabercetto.
Bredford si rivolse a Yohv, che fino ad allora era stato l’unico a non trattarlo con indifferenza.
"Ma cos’è?… Un automa radiocomandato?!! Mi fa spaccare, il nanetto; è di un realismo incredibile!"
Gli automi, però, comprese subito, solitamente non sparavano scaglie che guarivano dalla sbornia e rimanevano conficcate nelle carni senza procurare alcun dolore.
"Sono in coma etilico?" pensò allora.
"Mi hanno drogato??"
Quando lavorava per un certo Botugashi, in effetti, laido giapponese, grasso e peloso, capo di una setta di pervertiti, gli era capitato più volte di essere drogato a sua insaputa attraverso bevande che gli venivano offerte per ridurlo in schiavitù; tuttavia, questo era accaduto molti mesi prima ed era completamente uscito da quel giro.*
Cercò, quindi, di ricostruire mentalmente tutti gli eventi che avevano preceduto la sua comparsa in quello scenario.
"Tace!… Non ci posso credere! Finalmente!" squittì il cabercetto, vedendolo pensieroso.
"Lo hai strappato dal suo mondo, con quel tuo aggeggio da quattro pok, senza potergli dare neanche una spiegazione. Cosa ti aspetti che faccia?! Nel suo evidente squilibrio mentale è finanche troppo calmo." commentò Yohv.
"Io rimango dell’idea che ci metterà nei guai." disse Moccio. "Proprio perché non può capire quello che stiamo facendo."
Yohv guardò il cabercetto.
"Perché non sentiamo l’opinione del capitano?" chiese.
"Perché non possiedo alcun apparecchio che mi consente di farlo." rispose il cabercetto.
"Hai detto di possedere delle specie di ricetrasmittenti al posto dei timpani." s’intromise Moccio.
"In realtà trasmettono e basta. Però, conoscendo Gainsbergiolg, e sono certo che lui starà annuendo di gran lena in questo momento, non vorrebbe mai che si aggiungesse qualcosa di così estraneo alle sue direttive." rispose il cabercetto.
"Le “sue direttive” vorrebbero condurci lassù…" disse Yohv. "A piedi."
"Infatti. Credo anch’io che avrebbe avuto più senso una ricognizione aerea." aggiunse Moccio.
"OOOOh!!… Ma ci hanno già provato innumerevoli volte!…" disse il cabercetto. "A una certa altezza la montagna e protetta da un campo di forza che si estende a piacimento. Tutte le navicelle che hanno tentato di sorvolarla sono state inglobate e disintegrate!"
Mentre Bredford li ascoltava conversare con quello strano mix di suoni gutturali e fischiettii, e si convinse che neanche i più bravi attori di Hollywood avrebbero potuto portare avanti con tanta stolida tenacia un gioco simile. 
"Hmmm… I campi di forza disintegranti sono una tecnologia un po’ inconsueta per la vostra Oba." disse Moccio.
"In effetti, noi sospettiamo che assieme a Gingiolcek, nella caverna di cui parlano le leggende, sia presente anche qualche misteriosa e avanzatissima arma. Altrimenti, col cazzo che il capitano ci mandava quassù a recuperarlo." rispose il cabercetto.
"Così avanzata da venir nascosta in postaccio del genere?" chiese Yohv.
"I gusti sono gusti, ragazzi. Non rompetemi i coglioni con tutte queste domande!"
"Tu ci hai invitati a fartele." rispose Yohv.
"Si. Quello che non capiamo, però,…" si aggiunse Moccio. "è in che modo e per quale ragione questo Gingiolcek avrebbe dovuto raggiungere la vetta. La motivazione della vergogna suscitata da un cd olomusicale ci pare un po’ strana."
"Già! Vorremmo almeno sapere che tipo è questo Gingiolcek." chiese Yohv. "Se appartiene alla razza di suo padre o possiede organi adatti al volo, oppure a compiere dei balzi eccezionali."
Il cabercetto scosse il capo.
"Due gambe e due braccia! Esattamente come noi. Però è furbo, molto intelligente. Alcune delle invenzioni più straordinarie di Oba sono opera sua; come il raggio traente, la pallina antisodomia, il depilatore istantaneo… Dopotutto, si è laureato in ingegneria alla Frenzok University, su Oba 4, con il massimo dei voti. Suo padre pensa che proprio la preparazione raggiunta con questi studi gli abbia consentito di arrivare sulla vetta; magari anche usando un espediente tecnologico di qualche tipo."
"Ma com’è possibile che un ragazzo così in gamba si lasci intimidire da una burla, per quanto esagerata, organizzata dai suoi amici?" insistette Yohv.
"In realtà è molto fragile psicologicamente." rispose il cabercetto. 
"Suo padre, infatti, dice di lui che spesso ama trascorrere il tempo chiuso in una stanza; dice anche che ama la solitudine."
Mentre i due erano impegnati sull’argomento, Moccio si lasciò per un attimo distrarre dai movimenti di Bredford, che ora appariva sempre più spaesato e pensieroso; il suo avambraccio destro era interamente ricoperto da un tatuaggio formato da una misteriosa composizione di figure geometriche che, naturalmente, ora appariva un po’ sporco di resina. Vide, infatti, il ragazzo intento a strofinarselo sui calzoni, per nulla dolorante; benché il cabercetto avesse chiarito le proprietà altamente tossiche di quella sostanza.
Decise comunque che avrebbe tenuto per sé la cosa, almeno quel tanto da capire se il cabercetto mentiva.


Secondo il ristretto e sbeffeggiato numero di scienziati e ricercatori presenti su Oba, l’altezza apparente delle montagne Ru, essendo inconciliabile con le leggi della fisica, era frutto di una colossale proiezione olografica. O meglio, fino a un certo punto queste si elevavano davvero, per poi venir sormontate e decuplicate in altezza da questi cappucci virtuali; infatti, ogni formazione di questo tipo, se osservata a considerevole distanza, appariva conica soltanto per un breve tratto della sua struttura complessiva, essenzialmente a forma di fuso.
"Mi cedono le gambe." disse Moccio. Era sudato; le antenne gli pendevano davanti agli occhi.
"Siamo a circa un terzo della formazione conica." sentenziò il cabercetto. "Troppo indietro per star qui a preoccuparci delle fatiche di un obeso."
"Ma quelli che ci hanno accompagnato alla pendici, con quella stramaledetta jeap tutta scassata, staranno lì ad aspettarci fino alla fine?" chiese Moccio, non curandosi dell’insulto appena ricevuto.
"Cosa te ne frega, adesso, dei soldati laggiù?!!" chiese il cabercetto.
"E’ solo una curiosità. Visto che credo ci costerà un’eternità la “missione”. Magari, si annoiano; oppure non hanno abbastanza provviste."
"Sì. Staranno lì ad aspettarci tutto il tempo, armati fino alle gengive." rispose il cabercetto. "Sono abituati a patire la fame."
Ed era proprio ciò che Moccio voleva realmente sapere; nel caso quella piccola e antipatica creatura avesse dimostrato di non rappresentare una vera minaccia, dabbasso restavano sempre le guardie.
"Un piano d’azione perfetto, quello del caro Gainsbergiolg!" commentò Yohv.
"Certo non spicca per particolari doti intellettuali il capitano!" disse Moccio.
Il cabercetto lo fissò, sbattendo nervosamente le palpebre.
"Forse dimentichi che ci ascolta in ogni momento!" disse.
"Okay!…" pensò Moccio. "…se sta mentendo è coerente."
Ora Bredford aveva pure i capelli impiastricciati di resina.
"Caaazzooooo!!… ma cos’è tutta ‘sta merda!" gridò.
"A lui non sembra creare dei problemi quella roba." disse Yohv.
Il cabercetto guardò il ragazzo e si grattò perplesso la nuca. "In effetti sta dimostrando di essere immune a parecchi veleni. Forse dipende dall’abuso di alcolici e sostanze stupefacenti che, in qualche modo, devono aver rafforzato il suo organismo. Oppure ha già il sangue talmente avvelenato che qualsiasi cosa, qui, gli fa niente."
"Niente?!" borbottò Moccio. In realtà, pensò, quello poteva essere un indizio di menzogna.
"Sì, una sega!" rispose il cabercetto.
"Sega?!!" chiese Bredford . "Ho sentito bene?"
In effetti era l’unica parola che era stato in grado d’intendere.
"Sega!" ripetè il cabercetto.
"Hai proprio detto sega, allora!" esultò Bredford.
"Sega! Sega!" insistette il cabercetto. Poi si rivolse agli altri.
"Abbiamo trovato un modo per comunicare!..." disse.
"...Italiano, credo." 
"Brutta provenienza, allora." commentò Yohv.
"Come già sospettavo!…" confermò il cabercetto. 
"Gaisbergiolg mi ha insegnato questa parola, comunque. Ogni tanto, al ritorno dai suoi viaggi alle terre alternate, porta qualche nuovo oggetto o vocabolo. Dice che spesso vede anche suo figlio impegnato in questo genere di attività; queste  “seghe”… Però non chiedetemi altro; conosco solo tale correlazione."
"E cosa significherà mai?!" si chiese Moccio.
"Niente, credo… Cioè, che ogni tossina con cui è venuto in contatto fino adesso non gli ha dato alcun problema, probabilmente." rispose il cabercetto.
"“Sega”, allora, significa essere immuni ai veleni?" chiese Yohv.
"Non propriamente, da quello che io desumo sia il significato del termine; forse, significa: cosa di poco conto o dai risultati poco apprezzabili."
Bredford mimò quella cosa. 
"Sapete, no, di cosa stiamo parlando?" chiese agli alieni.
Moccio allargò le braccia "Io l’ho detto che questo è scemo. Forse faremmo bene a ignorarlo."
Yohv, invece, gli appoggiò una mano sulla spalla. 
"Okay, amico mio, datti una calmata però!"
Dopo qualche cidelchilometro di marcia si fermarono a mangiare, e con essi le cose che li seguivano furtive. Avevano trovato il modo d’imbastire una superficie d’appoggio e dei piani su cui sedersi facendo rotolare vicino a loro dei massi.
"Mendelicce sancrenate crude. Sono buone." disse il cabercetto, distribuendole, o meglio, spiattellandole sulla pietra.
"Io non la magio quella merda." disse Bredford. "...Magari un panino alla bresaola, se potete creare qualcosa dal gusto simile coi vostri marchingegni."
"Ancora non ha capito che non comprendiamo la sua lingua." disse Moccio.     
"Parla parla e continua a gesticolare. Mi da sui nervi. E, ora, si rifiuta pure di mangiare. Dalla pure a me, allora, la sua parte!"
"No. La mettiamo via." disse il cabercetto. "Non sei il più bello."
"Ragazzi, voi siete proprio incapaci di socializzare, vivere in armonia con voi stessi e la natura, per quanto miseranda e oscena, di questo pianeta." s’intromise Yohv.
"A proposito…" proseguì, rivolgendosi al cabercetto. "Hai un’idea di ciò che si nasconde in quel fogliame? Credo ci stia seguendo da un pezzo."
"Intanto è roba piccola…" rispose il cabercetto. "quindi non molto preoccupante, e poi non lo so. Però, se preferisce a starsene acquattata là sotto, vuol dire che ha una gran paura di noi nonostante la sua curiosità."
"Magari aspetta, quella roba, o aspettano il momento giusto per attaccare tutti insieme." disse Moccio.
"Ora siamo fermi. Quale momento migliore?" rispose il cabercetto. "…Eppure, vedi, brutto ciccione?!... Non attaccano."
Bredford sbuffò, pestando i palmi sulla pietra.
"Sì, continuate pure con i vostri grugniti e miagolii del cavolo! Continuate a fingere di non capirmi! Intanto io vado a cercarmi qualcosa da mangiare." disse, e si alzò. 
"Si allontana." commentò il cabercetto.
"Bene!" disse Moccio. "Proprio bene."
"Non è giusto, ignora la presenza dei caboceloni, andrebbe fermato." disse Yohv.
"Magari gli fanno una sega pure quelli." ridacchiò Moccio.
"Allora, come sono queste mendelicce?" chiese il cabercetto, ficcandosene in bocca un bel pezzettone.
"Non male, direi." commentò Moccio. "Come le preparano?"
Il cabercetto indicò delle piante il cui colore viola spiccava da tutto il resto, uniformemente giallastro.
"Il quaranta per cento dell’impasto viene ottenuto da quelle foglie." rispose.
"E diventa così verde?" chiese Yohv.
"Quello è dovuto al restante sessanta per cento, costituito dagli stronzi dei soldati. Qui non si butta via niente, ragazzi! Le cose commestibili su questo pianeta sono davvero poche."
Aveva ragione Bredford, quindi. Era proprio merda.
Yohv e Moccio la sputarono e vomitarono, lanciando mille maledizioni.
Dietro a una colonna di rami serpentiformi c’era un fiore grande come un ventilatore, con la corolla luminosa e una specie di pompelmo al centro.
Bredford prima lo toccò con la punta del mignolo, poi ci schiacciò sopra tutto il polpastrello dell’indice, e poi lo raccolse.
La consistenza, il peso e l’aspetto erano proprio quelli di un pompelmo.
Lo fissò per un istante e gli venne in mente la volta in cui aveva assaggiato con timore un pezzettino di amanita muscaria, per sperimentarne le proprietà allucinogene. Prima un pezzettino, poi, vedendo che non faceva alcun effetto, qualcosa di più; finendo via via per mangiarsi quasi i tre quarti della cappella e la metà del gambo, alla faccia della prudenza e del buon senso.
Niente tuttavia, neppure un mal di pancia.
"‘Fanculo!" pensò. "Magari sto pure sognando." e ci diede un morso.
Gli altri erano ancora nelle vicinanze, dopotutto; magari, con un urlo gli avrebbe attirati a soccorrerlo in caso di tossicità del pompelmo o qualunque cosa fosse.
Constatò subito che il sapore era ottimo e succoso. Ricordava la mozzarella; soltanto che la polpa era gialla e più densa.
Dopo un paio di bocconi svenne, comunque, e poco prima ebbe l'impressione che dei pallini fosforescenti gli orbitassero attorno al naso.


Artigli giganti. Grande. Qualcosa lo afferrò a un piede e, trascinandolo, gli fece sbattere la nuca sui sassi del sentiero e riprendere coscienza in un lampo; un lampo di dolore.
Mentre gli altri tre continuavano a gridare e insultarsi a vicenda.
"Potevi mangiartela tutta, visto che ti piace!" urlò Yohv.
"Se avessi saputo che…" tentò di ripondere Moccio.
Anche le urla di Bredford cominciarono a udirsi distintamente nella boscaglia.
"E’ il vostro amico, suppongo." rise il cabercetto.
"il suo!" disse Moccio, indicando Yohv.
"VOGLIAMO LASCIARLO CREPARE?!!" s’infuriò Yohv.
Il cabercetto indicò calmo lo zaino lasciato da Bredford.
"Guarda, se ti preme tanto salvarlo, là dentro c’è un emettitore di onde sub soniche ielleviquattro che ai caboceloni danno molto fastidio."
"MA SERVIRA’ A SALVARLO?" gridò ancora Yohv.
"Provaci!" rispose il cabercetto. "Comunque, ragazzi, io vorrei finirmi in santa pace la mia mendeliccia."
"Ma fai pure, maledetto!" disse Yohv, frugando come un forsennato nello zaino.
"E’ quell’apparecchietto col tubicino azzurro." disse il cabercetto, prima d’infilarsi un altro boccone.
Videro il cabocelone e Bredford sbucare dagli alberi. Poi altri caboceloni saltar fuori da tutte le direzioni. Animali mostruosi simili a cammelli spellati, ma con gli arti superiori lunghi e prensili.
"Schiaccia il bottoncino giallo!" continuò il cabercetto, impassibile.
Yohv lo schiacciò.
"Sono…s.sono…" balbettò Moccio.
"Soltanto svenuti." disse il cabercetto.
Bredford si rialzò di scatto, controllandosi i piedi e le gambe dove gli uncini avevano fatto presa: a parte un paio di tagli abbastanza profondi, non riportavano nulla di grave.
"…ora, prima che si riprendano, cavate fuori i coltelli dall’altro zaino e sgozzateli tutti. Oppure, schiacciateli la testa con questi massi. Oppure,…"
"Oppure, perché non vai a cagare?!" disse Yohv. "E poi li mangi, i tuoi escrementi; invece di startene seduto a dare ordini."
"E’ un’idea interessante!..." rispose il cabercetto, continuando a mangiare.
Moccio si mise ad affettare carotidi e organi cardiaci con sorprendente rapidità.
Alla fine si contavano dodici caboceloni, abilmente squartati.
"Quelli non sono svenuti, però." disse Yohv.
Si era spostato verso una piccola radura che terminava in uno strapiombo.
"Guarda come si agitano!… Alcuni si stanno pure arrampicando." 
Moccio lo raggiunse.
"Continua a schiacciare il bottone!" gridò.
"NON SUCCEDE NIENTE!" gridò a sua volta Yohv.
Bredford si avvicinò ai due e guardò dabasso, ritirandosi in fretta a causa delle vertigini.
"Magari si è scaricato il volcatatore zonico." sbuffò il cabercetto, e si decise a lasciare il suo pasto per controllare la situazione.
Ora stavano tutti e quattro vicino al precipizio.
"Io non vedo un cazzo!" disse, sporgendosi.
"A no?!!… E quelli cosa sono?" chiese Moccio "Non vedi che stanno salendo?"
Il cabercetto si sporse ulteriormente a controllare la parete di roccia.
"Salutaci il capitano!!" dissero, e gli assestarono contemporaneamente due calci fortissimi alle spalle.
Scaglie, quasi sicuramente innocue, vennero sparate all’impazzata nel vuoto, seguite da un EEEEEEAAAAAAAAAAARRRRRRRRGGGggggg con un “g” che diventava via via sempre più piccola.
   
"Ora che si fa?" chiese Yohv.
"Ci attrezziamo per affrontare le guardie, ammesso che a Gainsbergiolg sia arrivato qualcosa." rispose Moccio.
"Non credo." commentò Yohv. "Il piccoletto deve aver mentito anche su quello."
"Già “i miei timpani sono come ricetrasmittenti”!… Che balla da quattro pok!"
Bredford fissava inorridito i grumi sanguinolenti e fumanti dei caboceloni, le cui interiora avevano completamente imbrattato i calzoni di Moccio.
 La perdita del cabercetto non sembrava averlo turbato granché.
"Non credevo che il tuo spirito di sopravvivenza fosse così forte da trasformarti in un super macellaio." disse Yohv.
"Mi piacerebbe sapere cosa ha percepito l’umano, di tutta questa faccenda." disse Moccio, indicandolo col coltello. "Magari ora pensa che siamo dei killer, che vogliamo fare la stessa cosa con lui."
"Gli dai un buon motivo per crederlo, se non abbassi quell’affare!" rispose Yohv.
Creature simili a tartarughe sbucarono fuori dal terriccio per avventarsi sulle carcasse.
"Guarda!! Riconosco il loro fruscio…" disse Yohv. "…Sono gli animali che ci seguivano; pazienti cercatori di morte." 
"Necrofagi!… Speriamo abbiano di che saziarsi. Non vorrei che si aspettassero qualcosa anche da noi." commentò Moccio.
Bredford era in preda al panico e la sua attenzione, ora, era tutta rivolta a tre bolle giganti che si libravano a una certa altezza sopra di loro.
Anche gli altri le videro seguendo il suo sguardo.
"Sembra che puntino nella nostra direzione." disse Yohv.
"Magari non sono pericolose."
"Magari sì." continuò Moccio.
"Allora scappiamo in mezzo agli alberi." rispose Yohv.
"Tu ci riesci?"
Erano entrambi paralizzati.
"No! Ma ci dev’essere una spiegazione."
"Sì, c’è sempre una spiegazione a tutto." convenne Yohv.
Bredford invece urlò e fu il primo a venir raggiunto e inglobato da quelle sfere. Poi fu la volta degli altri due.
La superficie degli oggetti era completamente liscia e trasparente, e ondeggiava seguendo la pressione dei loro corpi.
In sostanza, apparivano proprio come grandi bolle di sapone, con gli stessi riflessi iridescenti. Dal loro interno cercarono di parlarsi, ma ogni bolla conteneva i suoni, intrappolandoli anche in un perfetto isolamento acustico.
A Bredford sembrava assurdo che la sua prigione non si potesse far esplodere con un solo dito, eppure risultava indistruttibile, in grado di sostenere il suo peso; si accovacciò, quindi, cercando di non venir troppo sballottato.
"Chissà in quale ospedale mi risveglierò?!" si chiese. Stava riconsiderando l’idea di essere davvero cosciente.
Poi le bolle presero a salire, salire e salire. A una velocità moderata, ma pur sempre offrendo il terrificante spettacolo dell’altitudine.
Moccio si coprì il volto, infilando sotto i capelli anche gli occhietti più piccoli situati all’estremità delle antenne.
Tutti e tre tremavano, rannicchiati come dei feti all'interno di quelle sfere.
Gingiolcek aveva apprezzato l’eliminazione del cabercetto, dal momento che adesso li stava trasportando proprio nel nascondiglio naturale in cui aveva costruito il suo laboratorio.
A un certo punto, infatti, lo videro salutarli. 
Stavano ben oltre la formazione conica; nella parte più alta della montagna, quella che si ergeva a forma di fuso, ed erano avvolti da una spessa coltre di nubi e infreddoliti, ma non quanto lo sarebbero stati senza l’isolamento termico garantito dalle bolle. Probabilmente, senza di esso, sarebbero ghiacciati all’istante; Gingiolcek, infatti, per proteggersi dal gelo indossava una specie di elaboratissimo e ridicolo scafandro.
Distinsero a fatica lui e l’ingresso della caverna, finché le sfere non furono abbastanza vicine da entrarci. 
Dentro, per fortuna, l’aria era più calda e respirabile; se ne accorsero quando un campo di forza chiuse l’ingresso e le bolle svanirono.
Tranne quella in cui era racchiuso Bredford.

"Strepitosa accoglienza!" disse Yohv.
Attorno c’erano un gran numero di monitor e apparecchiature.
Gingiolcek si tolse il casco.
"Stavate forse cercandomi?" chiese.
Non assomigliava per niente a suo padre ma, del resto, era prevedibile: gli obasiani aborrivano ogni aspetto della riproduzione sessuale e spesso costringevano i prigionieri di altre galassie ad avere rapporti con le loro femmine, oppure praticavano la fecondazione artificiale, quasi sempre utilizzando il seme di altri esseri. In altri casi, invece, come la creazione di soldati, preferivano la clonazione.
"Ci manda tuo padre. Immagino che saprai già tutto o ne comprenderai il motivo." rispose Yohv.
"Certamente! Vi dispiace se lo lascio lì dentro?" chiese Gingiolcek, indicando Bredford.
Moccio agitò freneticamente il primo dei suoi indici.
"No, no!!… Anzi." disse. Gli piaceva vederlo picchiare i pugni nell’involucro e boccheggiare come un pesce.
"E’ necessario?" chiese Yohv.
Gingiolcek annuì. "Almeno fino a quando non avrò capito se è portatore di qualche virus." rispose. Poi si avvicinò alla consolle di un computer biologico.
"Vedere tutto questo ben di Ogo di tecnologia, in un posto come questo!" commentò Moccio.
Gingiolcek intanto esaminava la composizione delle molecole contenute nella sfera.
"Non è sempre stata così, Oba; cicli zurafici addietro, esistevano delle forme di civilizzazione, e la tecnologia era abbastanza progredita da non rendere necessario rubarla in altri mondi." disse Gingiolcek.
"Adesso, però, vivete in una desolata barbarie. E’ questo che ti ha spinto a scappare fin quassù o è davvero il cd olomusicale prodotto dai tuoi amici?"
Gingiolcek rise. Perlomeno, le sue labbra si mossero come su dei binari che lasciavano intuire questa intenzione.
"Sono semplicemente scappato dalla “barbarie”, se vogliamo usare questo eufemismo."
Ricontrollò i dati raccolti su Bredford dall’elaboratore.
"Anche sul pianeta da cui proviene il vostro amico le cose non andranno meglio, comunque."
"Cioè?" chiese Moccio.
"Il suo dna è tipico delle Terre alternate di classe nove; precisamente, di quella situata nella regione settecentosei cibez."
Moccio guardò Yohv; erano al corrente di alcune cose sulle Terre alternate poiché lì stavano anche le loro origini, in verità.
"Ci spiace, non conosciamo" disse Yohv. 
Preferivano, sempre, fingersi totalmente alieni. 
"Sta regredendo?"
"Altroché! La quasi totalità dei suoi abitanti è talmente vanesia e stupida che, in questo momento, invece di appassionarsi al primo sbarco su Marte di un loro equipaggio, è tutta impegnata a guardare i mondiali di calcio trasmessi contemporaneamente alla tv."
Mostrò su alcuni schermi scene di umani seduti davanti alla televisione, e del campo su cui si giocava quella partita. Ventidue ragazzotti che correvano come canidi dietro a una palla.
"Soltanto su pianeti come il nostro…" proseguì Gingiolcek. "…la gente riesce ad essere così vuota intellettualmente da trovare tanto interessante uno spettacolo del genere. Nonostante ciò, comunque, devo riconoscere che sono affascinato dalla storia di questi mondi, perché mostrano le varie fasi della nostra involuzione."
"Non possiamo rispedirlo a casa lo stesso?" chiese Moccio. "A lui e la sua stupidità."
"Quello che vi ho mostrato non appartiene più al suo tempo e, avendolo teletrasportato qui col catturatore, la lacerazione spazio temporale prodotta non ci consentirebbe di collocarlo nell’era giusta. Finiremmo per proiettarlo in una realtà dove nessuno dei suoi conoscenti è vivo."
"Non è da escludere che la cosa possa fargli piacere." insistette Yohv.
Gingiolcek scosse il capo.
"Niente da fare! Rimane il problema del contagio…" disse. "Qui è venuto sicuramente in contatto con dei virus che potrebbero distruggere l’intera popolazione del suo mondo."
"Almeno non faranno in tempo a conciarlo come questo!" rispose Moccio.
"Non possiamo interferire. Deve rimanere!"
"Rimanere su Oba, però." commentò Moccio.
Gingiolcek si portò vicino al vecchio impianto col lettore di cristalli olomusicali e fece girare il capolavoro composto dai suoi amici.
“Ssssssssbllleeeambbllllleee ssssssoogghbbllllaaampopoptpotpoilllllleeee bbbl blbl ooooooo…agh agh bl bl bl ssssssblleeeebblll…”
"Non riusciamo del tutto a intendere. Ma è offensiva questa roba?" chiese Yohv.
"Chiedetelo a loro!" rispose Gingiolcek.
Sopra un alto ripiano, fino ad allora rimasto celato alla loro attenzione, c’erano le teste, perfettamente recise e conservate, degli autori; un bel campionario di brutture intergalattiche, mescolato al dna obasiano.
 "Non potevo mica aspettare che fosse mio padre ad occuparsi della faccenda." proseguì Gingiolcek.
"Tuttavia, questi, sono affari miei. Voi, credo, abbiate solo intenzione di tornare alla vostra astronave e squagliarvela. Non è così?"
"Ben arguito!" rispose Moccio.
"Guardate!" proseguì Gingiolcek, azionando un altro dei suoi monitor. "A quel vostro affare gli hanno tolto solo il motore. Di solito è la prima cosa che fanno. Poi le smantellano un pezzo alla volta, magari per recuperare certi materiali. Orbene,…:" Gingiolcek indicò la piattaforma traente da lui progettata. "Io vi teletrasporto qui, in questa zona, che non è molto lontana dal vostro veicolo; lo faccio riprogrammando e invertendo le coordinate del catturatore, poi… Poi…"
"Poi?!!" chiese Yohv.
Gingiolcek strizzò un occhio e arricciò quello che sembrava il naso.
"…Pppoooi…" continuò. "…Scusate, amici, ma non ricordo di cosa stavamo parlando. Potete farmi un rieprieiloogo?"
"Che?!!!" insistette Yohv, preoccupato.
"Un rieppilogo." rispose Gingiolcek. Lo stava cogliendo una delle sue gravi crisi di dislalia temporanea.
"Hai promesso di farci tornare sulla nostra nave. Quella lì;…" Yohv indicò lo schermo su cui appariva la pista disseminata di rottami. "…tarando il dispositivo catturatore in una certa maniera. Solo che non ci hai spiegato in che modo riusciremo a rimetterla in moto, dal momento che gli hanno fregato il mezzo di propulsione principale."
"Aaahhh… Già!…Il mottorre, amici. Vi darò uno dei miei prototttippi." disse Gingiolcek. "…E quando sarete laggiù vi seguirò passo per passo per passo per passo per passo nell’istallazione, attraverso una delle mie sonde."
"Ottimo!…" commentò Moccio. "Sei sicuro di poter modificare il catturatore in modo da non farci ricomparire all’inferno o smolecolati?"
"Eh! eh!…Ci provo. In alternativa… va… vaava, vi resta la miiia compagnia. Qui, nel mio laboratorio, non si sta pooi così malle, sapete?"
"No Grazie. Se vuoi ti lasciamo il terrestre; dopo averlo opportunamente decontaminato potresti addirittura trovarlo simpatico." rispose Moccio.
"Lllui, pertroppo, dovrete portarlo con vooooi. Non sono in grado di produrre le sostanze di cui ha bisogno per nutttrirrirrrsi."
Moccio sorrise. "Ma neanche noi, se è per questo!"
"Pppoooortatello via!" insistette Gingiolcek. "V...vi do pure degli ammortizzatori ine inerziallialli per impedire che esploda durante ante la pattenza."
"E ti pareva?!" commentò Moccio.
                                                                              
"Sbrigativo questo Gingiocek! Quasi non riesco a crederci che stiamo per andarcene.…. Chissà cosa lo ha preso. Hai visto come si è messo a storpiare le parole?" chiese Yohv.
Moccio tirò un’occhiataccia a Bredford.
"Già!… Cerca però di fargli capire a quella specie di scimmia che deve stare dentro lo schermo invisibile; magari quest’area è monitorata dal Comando." disse.
Yohv, gentile, prese Bredford per un braccio e lo riposizionò all’interno del campo di deviazione luminosa.
"Non uscire!…" agitò l’indice. "O ci sparano!" finse di reggere un fucile e di far fuoco. "Loro ci guardano." indicò i casermoni di forma cubica che stavano ai lati della pista di atterraggio.
Attorno, tuttavia, non sembravano esserci guardie; Gingiolcek aveva scelto il momento migliore per teletrasportarli in quel luogo.
"Eccola!!" esultò Moccio. L’astronave, fuori, non dava segni di manomissione.
Si avvicinarono e, sulla sonda che li accompagnava, svolazzando a un metro e mezzo da terra, apparve l’immagine di Gingiolcek.
"Ci siaaammo ragaragaraggazzi." disse.
Aveva mezza faccia completamente paralizzata.
"Non prrrrreeeoccupa…occupà…occupà…occupà tevi sse stoppio le pallole. Poi miiii passssssssssah! Okkaey testa di ppollipo?"
"Okay, scusa." rispose Yohv. Non aveva pensato alla capacità della sonda di effettuare anche rilevazioni audio.
"Ho disattivato il ragggggio traente, intervevevenendo a distanza sui didsposidivi del Comando. Ora vvvuoi seguirette passo per casso le mie istruzionioni, cominciando con l’eeeeeeentrarre nel veicolo e avviicinarvi al pannelloooo delloooo pannello del pan el el lo lo pan entrate te te tette."
"la vedo brutta." bisbigliò Moccio.
"Sì, beh…, diciamo che qui i presupposti non sono davvero buoni." rispose Yohv. "A volte il tuo pessimismo è giustificato."
Sul video installato nella sonda apparve una riproduzione tridimensionale dell’alloggiamento motore. Corrispondeva a quello della loro navicella, con tutte le indicazioni e i tracciati dei collegamenti da effettuare.
"Le parti colloratte di giallllo sono sono que lle del blocco pimario, da lì partiamo con insesrtire il cavvo bx4…"
"Aspetta! Non abbiamo ancora rimosso il pannello." disse Yohv. "Comunque, ora vediamo diversi colori sullo schermo tranne il giallo."
"In alto su sùù? A destra diago dest in alt! Lo vedette? Guardatte bene." insistette Gingiolcek.
"No, non lo vediamo." rispose Yohv.
"Ma ccc... c’è. Probabilmente i vostdri occhi non percepiscono il giaalo."
"Noi sappiamo cos’è il giallo, ma qui non c’è. Forse quello che tu chiami giallo per noi è l’azzurro; perché è questo che vediamo in alto a destra."
Gingiolcek s’infilo un dito in gola.
"Uaehhhhgh! gh! gh! Sì, probabile. Abbiamo percezioni divverse."
"Sarebbe stato utile verificarlo prima." disse Moccio.
"Sì sì, ma non preoc oc? Oc?!! Occupatevi?"
"Sì. Occupatevi." rispose Yohv. I tentacoli gli fremevano nervosamente sulla testa, frustando l’aria.
"Ce la faremo emo emo emo lo stesso esso esso." continuò Gingiolcek.
Terminata l’esposizione dei vari collegamenti da effettuare, si rannicchò in un angolo del laboratorio e si mise a mastrurbarsi picchiando a intervalli regolari la testa contro un cilindro luminescente.
"Non vedo più Gingiolcek sullo schermo." disse Moccio.
"Forse abbiamo finito." commentò Yohv.
"Poteva comunicarcelo; salutarci, almeno, prima di chiudere."
"Proviamo ad accendere." disse Yohv.
Tutto funzionava, i regolatori non individuavano alcun guasto meccanico o rimozione dei comandi principali.
"SI PARTE!!!" gridò, infilandosi velocemente al suo posto di guida.
"Allacciate le cinture!"
Bredford era disgustato dalla puzza dei resti di Vozzak, e da tutto l’abitacolo in generale, cosparso di rifiuti e altre diavolerie.
"Ma che razza di alieni vuncioni sono?" si chiese.
"Legalo! E coprilo con qualcosa!" disse Moccio. "Non vorrei che mi arrivasse in faccia qualche sua articolazione o metà di quella sua inutile pappa cerebrale."
"Pensi che anche lui non reggerà alla accelerazione?" chiese Yohv.
"E’ nelle mani di Gingiolcek! Dipende da quanto sono buoni gli ammortizzatori inerziali che ci ha fornito." rispose Moccio.
"Ma siamo sicuri di averli installati correttamente?" si chiese Yohv.
L’ultima parte delle istruzioni date da Gingiolcek, in effetti, si era dimostrata veramente ardua da comprendere, aldilà della confusione creata dalla differente visione dei colori.
"Che succede adesso? Volete almeno tentare di spiegarmelo?!" disse Bredford.
Moccio lo appiattì sullo schienale, spingendogli il petto con una delle sue grosse mani piene di dita.
"Stringiti bene quella cintura e stai zitto! Almeno fino a quando non ti avremo insegnato l’universese. Ammesso che tu riesca a vivere tanto a lungo da impararne una parola." disse.
"Neanche noi sappiamo in quale buco di culo del cosmo ci sparerà la nostra carretta!" proseguì Yohv, e premette l’accelleratore, decollando verticalmente fino a raggiungere i quattro vizomag in sei secondi.
Bredford era ancora vivo, ma coperto del suo vomito.
"Ora viene il bello, amico!... Ci stacchiamo dall’orbita." proseguì Yohv. 
"Prima, però, goditi un attimo il panorama là sotto. Guardiamo ancora per l’ultima volta quella fogna di satellite." disse, e virò in modo d’aumentare la visuale della superficie di Oba7.
Bredford inclinò il capo, ma non per guardare dal parameteoriti; era svenuto.
"Meglio così." commentò Moccio.
"Già! Soffrirà meno gli effetti dell’accelerazione" disse Yohv. 
"…E anche noi, spero." commentò Moccio. "Siamo tutti e tre nelle mani di Gingiolcek, del resto!"
E partìrono a tutta velocità.
Nelle mani di Gingiolcek, tuttavia, ora c’era ben altro.



-FINE-







* Personaggio presente anche nel racconto "il mistero del cignomita giallo"
Racconto di Fabio Cavagliano (2009)

Nessun commento:

Posta un commento

Commenti offensivi, volgari o inappropriati verranno rimossi.